IL LABIRINTO STELLARE

“Non è forse risaputo che la nostra è un’arte cabalistica?… Io ti assicuro che chi vorrà spiegare ciò che i Filosofi  (ermetici) scrissero nel senso ordinario e letterale delle parole si troverà preso nei meandri di un labirinto dal quale non potrà mai salvarsi…”

(Libro di Artefio)

 

Mithra  heliodromus assurge al cielo su di un carro solare per divenire Sol Invictus… C’è poi Ra, Indra… lo sparviero, l’occhio, lo scarabeo volante, il leone, la ruota, la svastica… Tra i celti il “volto” del Sole era Mercurio Lugus (luminoso), dalle lunghe braccia (lamfota), vincitore delle forze oscure, la cui festa veniva celebrata allorquando la natura offre i suoi frutti (1 agosto).

Tra l’aspirante alla Gnosi ed il segnacolo eliaco esistono dei rapporti tali da risvegliare quell’ancestrale perplessità, quel sentimento di meraviglia, quella disposizione mentale “partecipazionista”, quasi un rispettoso timor panico, nei confronti di quel dio ignoto che è il sole occulto al centro del nostro cielo interiore. Nell’identificazione, l’uomo di desiderio, l’adepto, realizza lo stato di coscienza dei Piccoli Misteri. Apollo sarà Elio, l’occhio di Dio (Zeus nella drammaturgia euripidea); sole del nord, sole di mezzanotte, certezza sovrasensibile, testimonianza in cielo, per la dottrina sufi. Un’eventuale identificazione della forza attiva con il principio femminile sarà frutto di un’inversione transferale, indirizzata a sublimare la facoltà generatrice muliebre in capacità fecondante, alla pari della Shakti trasformatrice di ciò che è potenziale in atto vivificante.

 

Nell’orizzonte culturale esoterico, la simbolistica solare riveste una funzione di primissimo piano, proprio per la richiesta di identificazione con un eroe apportatore di luce, all’interno di un percorso misteriosofico. Cammino, viaggio, pellegrinaggio, sono altrettanto ricorrenti quali riferimenti allegorici: attraversamento del  deserto, o ascensione alla montagna sacra, sacra perché punto di incontro tra terra e cielo.

 

A ciascuno spetta d’affrontare e perseguire, lungo il cammino del risveglio, un unico labirinto. Dice infatti la sapienza tradizionale che ad ogni uomo è dato percorrere un solo labirinto e solo quello che a lui compete, se vuole giungere ad affrontare (ed a vincere) il suo Minotauro.

 

La navigazione verso la foce è una discesa nell’universalità delle forme, nella totalità degli archetipi; la risalita controcorrente fino alla sorgente è ascetica aspirazione a ricongiungersi con il Principio. Il traghettamento da una riva all’altra è un passaggio da uno stato ad un altro.

 

L’acqua si compone di molecole bipolari, organizzate in simmetrie pentavalenti, gruppi a forma piramidale con base quadrangolare. Anche i fiori manifestano un’analoga disposizione, a stella di Davide; lo rammenta pure il Pentateuco, quando in Genesi sottolinea la separazione delle “acque dalle acque”, le acque correnti della luce dalle acque stagnanti delle tenebre (era un’allegoria dei Mandei), le acque di vita e di rimembranza dalle acque infernali dell’oblio. L’iniziazione orfica invitava a bere alla fonte di Mnemosine, evitando  quella dell’Ade.

 

Il viaggio sulle acque è la perigliosa navigazione affrontata dagli Argonauti per giungere in Colchide, o quella di Lancillotto e di Parsifal nella cerca del Graal. Le imbarcazioni degli eroi solcano il mare delle emozioni, la devozione (bhakti) sommerge l’intelletto ed il vascello è la dottrina in grado di  garantire la guida dell’illuminazione interiore. Il Graal ed il Vello d’oro sono ciò che ci è nascosto, custodito dentro di noi dal drago dell’istintualità.

 

Ciascuno di noi è Noè chiamato a costruire la propria arca contro il pericolo di essere sommerso dai flutti dei desideri.

 

A salvare dalle acque è l’innocenza del bambino Mosè; la fermezza di Odisseo lo mette nelle condizioni di ascoltare il canto (influenze erratiche) delle Sirene, avendo l’astuto saputo legarsi all’albero di maestra, l’asse che lo collega al cielo.

 

La concezione esoterica dell’albero cosmico comporta una raffigurazione invertita che in cielo salda le radici e sulla terra fa spuntare le infiorescenze all’estremità dei  ramoscelli.

 

Nella psiche opera più d’una costellazione, quale gemma mitologica e quale sigillo di trasmutazione che trascende la dimensione inconscia. La costellazione “ci vive”,  riconosceva Ernst Bernahard, a volte si esprime attraverso di noi, ma alla sua forma è errato attribuire una coscienza autonoma.

 

“Ogni vita individuale è… al tempo stesso anche la vita dell’eone della specie” C. G. Jung “Psicologia e Religione”.

 

Per giungere alla meta finale, l’isola dei Beati, occorre sapersi orientare con il polo celeste della propria interiorità. E sempre il polo, l’oriente e la meta, dentro di noi, coincidono.

 

“… La luce che splende al di là di questo cielo, al di là di tutte le cose, nei più alti mondi, oltre ai quali non vi è più nulla, questa luce è in verità la stessa luce che irraggiò nell’uomo”

Chandogya Upanishad III- 13,7

 

Modello del fiume celeste la via lattea, dove non bisogna solo saper navigare.

 

La volta celeste richiede una cura simile a quella degli orti e dei giardini, le cui linee prospettiche puntano in alto, laddove nascono le forme floreali. Chi riesce a specchiarsi nei segnacoli cosmici, ed a coltivare la propria aiuola interiore, misura e disegna il cielo mentre misura e arricchisce la terra.

 

Pianeti e costellazioni sono semi di luce che germogliano in noi, dopo un opportuno diserbo dello spazio intimo, l’estirpazione dei pregiudizi, e dopo aver fornito quest’humus della giusta dose di emotività.

 

L’acquisizione del paradigma del lavoro interiore costituisce la semina. Il riconoscimento dei simboli zodiacali, che si affacciano alle soglie della coscienza, quale gemellaggio con l’immagine mitopoietica, ne rappresenta la germinazione. Scrutare il valore allegorico della figura celeste su cui concentrarsi spinge alla fioritura, e l’identificazione ne apporta di conseguenza i frutti. Ma in questo processo di identificazione occorrerà distinguere il segnacolo da inserire nella regione del polo da quello che occuperà la fascia dello zodiaco o le case che ne regolano le funzioni, e non necessariamente corrisponderà al tema di natività.

 

Di fronte alle voci della natura occorre stupirsi come fanciulli, riacquisire quella disposizione mentale “partecipazioni sta”, riapprendere il sentimento della meraviglia.

 

In virtù delle tensioni e delle proporzioni che li regolano, le fasi della luna, i transiti dei pianeti, la dislocazione delle costellazioni, ci immergono nel mistero delle origini.
Come in una partita a scacchi, le varie figure mitologiche dello zodiaco si scontrano tra loro, ovvero tra loro collaboreranno al fine di far controllare il destino all’umana presunzione.

 

All’adepto sarà dato di contemplare la forma del “sole o della luna, o qualcosa di rassomigliante al loto, o altro mondo (sotterra), e forme diverse come il fuoco celeste o simili”, fin quando non avrà superato tutto ciò, si legge nel Lankavatarasutra,  per ritrovarsi in uno stato senza immagini.

 

“Vedrà tralucere un numero grandissimo di scintille, grazie agli occhi della mente, ogni giorno di più, e crescere sino a divenire una sola, grande luminosità”

(Gehrard Dorn “De Speculativa Philosophia”)

 

La disciplina astrologica che dimostra di avere le più antiche radici si ripromette di operare una trasmutazione interiore, di modo ché si acquisisca un più approfondito livello di vita ed un più ampio stato di coscienza.

 

“La pietra angolare di ogni verità è l’Astronomia che è madre di tutte le altre arti”, affermava Paracelso: “Ognuno e ciascuno è un astrum, il cielo, una stella… perciò dice anche la stessa Scrittura: voi siete le luci del mondo”.

 

Riferendosi a Paracelso, ne “Lo Spirito della Psicologia”, C. G. Jung scrisse:  “… il lumen naturae proviene principalmente dall’astrum o sidus, la stella nell’uomo. Il firmamento, un sinonimo per la stella, è la luce mortale… Egli considera la psiche oscura come un cielo notturno punteggiato di stelle, i cui pianeti e costellazioni fisse rappresentano gli archetipi in tutta la loro numinosità e luminosità… In effetti l’uomo stesso è un astrum: non per se stesso soltanto, ma per sempre con apostoli e con i santi, ognuno e ciascuno è un astrum, il cielo, una stella……. Ora, come nella stella sta tutta la luce naturale e da essa l’uomo ricava lo stesso alimento che dalla terra dalla quale è nato, così egli deve anche essere nato nella stella”.

 

L’ermetismo considera le influenze astrali “corpi” che l’iniziato deve sopprimere, in quanto  conviene liberarsi dell’armatura delle sfere, affinché sia possibile al Principio spirituale proseguire oltre la cerchia zodiacale “che è a sua volta formata da dodici esseri di una sola essenza, ma capaci d’ogni forma quanto all’immagine, a inganno dell’uomo”. (Il Pimandro)

 

Nell’apocalittica città celeste ognuna delle dodici porte corrisponde ad una delle dodici tribù d’Israele, ciascuna delle quali racchiude un certo tipo di umanità.

“La volta stellata dei cieli è in verità il libro aperto della proiezione cosmica nella quale sono riflesse le gemme mitologiche, cioè gli archetipi”, affermava C. G. Jung, sempre ne “Lo spirito della psicologia”.

 

Zeus domina il Cancro, Apollo il Leone, Demetra si cela nella Vergine, Efesto è insito nella Bilancia, Ares incita lo Scorpione, Artemide il Sagittario, Hera presiede il Capricorno, Dioniso l’Acquario, Poseidone i Pesci, Pallade Atena l’Ariete, Afrodite il Toro, Ermes i Gemelli.

 

Poiché la Parola è definitivamente perduta al massimo si potrà cercare di sostituirla.

 

Elemire Zolla (Conoscenza religiosa 2, aprile-giugno 1969) avrebbe individuato le corrispondenze tra i tradizionali segni zodiacali e le rune, assegnando a ciascuno dei primi una coppia di polarità proveniente dalle altre, rispetto al segno, una delle quali con proprietà coagulanti, in termini alchemici, e l’altra con stimolazioni dissolventi. Le rune soprannumerarie andrebbero a significare quei fenomeni di perturbazione, di asimmetrie ed irrazionalità disarmonica, che inevitabilmente avvengono nel firmamento interiore.

 

Dai simboli zodiacali tralucono plurimi sensi che travalicano la corrente visione astrologica, traendo essi alimento dal mito per rifrangersi nelle profondità della psiche quali immagini archetipiche. Cogliere i bagliori di simili influenze richiede capacità intuitive non comuni ed immaginazione creativa tale da rendere operante la potenziale trasformazione appartenente alla sfera dell’arte, ed anche da elevare quella del pensiero anagogico, letteralmente: che conduce (agein) in alto (anà). Avere a che fare con lo zodiaco, per dirla con Platone, equivale a vivere la propria vera vita: alethé bion zén, poiché lo zodakòs contiene ogni essere vivente (zòon).

L’accostamento all’astrologia esoterica prevede una scala di significati da attribuire alla fascia zodiacale: la si può inquadrare come uno zoo di belve predatrici, pronte ad assaltare ed a divorare gli sprovveduti, e siamo ad un livello metaforico; la cintura stellare può essere vista come un cerchio di energie da invocare, in senso allegorico. Secondo l’insegnamento di Shihaboddin Yahya Sohravardi, ci si trova dinanzi allo specchio delle “alte torri” dell’Invisibile, dei grandi portali posti a sigillo del sé immortale e della totalità universale.

 

Esistono due accessi alla fascia zodiacale, coincidenti con i solstizi, i quali si addicono l’uno (solstizio d’estate) agli uomini, l’altro (solstizio d’inverno) agli dei e che determinano di conseguenza due mete differenti.

 

Nella tradizione orientale il viaggio nel  Labirinto Stellare si principia dal segno del Capricorno, porta degli Dei, e luogo della manifestazione dell’Essere che perviene al Sapere indefettibile, trapasso della Terra al Cielo, nell’abbandono della doppia spirale evolutiva-involutiva del mondo delle forme (la caverna cosmica). Al Solstizio invernale, al punto centrale dello spazio corrisponde la nota musicale do, Hawang-tchong, campana gialla, in quanto colore della Terra che nel suo grembo contiene l’influsso celeste; a partire dal culmine dell’inverno, le influenze superiori cominciano a liberarsi ed a rinnovarsi.

 

Capricorno richiama la morfologia assunta da Egipan nella lotta contro il drago Tifeo. Soffiando in un corno attorcigliato su se stesso provoca il profondo terrore che contraddistingue appunto il “timor panico”. Pan è figlio di Hermes, ma a dominare sul Capricorno è Hera, nei suoi aspetti di fanciulla Pais, compiuta donna Teleia, solitaria vecchia Chera, comunque energia primigenia imprigionata da Efesto, patrono del fuoco occulto dell’iniziazione, compagno di Pallade, dalla cui unione nacque il protettore di Atene.

 

Poiché il solstizio d’inverno è il momento in cui ci si può maggiormente liberare dei condizionamenti terrestri, le incarnazioni degli dei si compiono sotto il segno del Capricorno, come accadde per Mithra e Gesù.

 

La tradizione platonica (Repubblica, libro X) fa coincidere il momento iniziale della manifestazione cosmica con l’ondivago distendersi  delle acque prime del Cancro. Sarebbe questa la sacra soglia che attraversano le anime destinate a cadere nel divenire. Al solstizio d’estate la “porta degli uomini” media lo Zenith con il Nadir, e congiunge l’Essere al mondo delle forme.

 

L’iconografia egizia associava il segno del Cancro alle immagini che esigono purificazione: del vaso, del cuore, dello scarabeo. Lo scarabeo a zampe anteriori protese è ideogramma del verbo kheper, che significa appunto “assumere forma”, “pervenire all’esistenza”. Lo scarabeo ad elitre dischiuse equivale al granchio lunare. Rinvia all’egizio Ra, all’ellenico Zeus, alla tribù israelita di Manasse, alla gerarchia angelica delle Dominazioni, all’apostolo Giovanni, alla dualità lunare.

 

Il Cancro, che domina dai 90 ai 120 gradi del cielo, è uno dei segni cardinali con caratterizzazione passiva, femminile, materna, in corrispondenza con l’elemento acqua, tanto da simboleggiare la cosiddetta “acqua prima”.

 

La codificazione egizio-ellenistica, attribuendogli l’aspetto di uno scarabeo, animale appartenente in apparenza alla terra, ma nella prospezione occulta al fuoco, perché miticamente connesso al sole, lo designa come l’indiscusso principio di ogni opera di purificazione della materia.

 

“C’è un’acqua nel fuoco ed un fuoco nell’acqua… c’è un’acqua nell’acqua ed un fuoco nel crisma”.

 

Il nome babilonese del Cancro era Magaru, carpentiere. Nell’epopea di Gilgamesh si rimpiange che dal  loro posto nella “casa del carpentiere” siano sprofondati negli inferi pukku e mekku, tamburo e bacchette, strumenti della regolazione tra il mondo formale e quello informale. Tale regolazione, nella dimensione spirituale, grazie alla “purificatio” della meditazione, tiene sotto controllo gli effetti divoranti del tempo, per espandere, nel trionfo estivo, le affinità tra la contemplazione del cielo e la riproposizione edenica della coltivazione del paradiso in terra. Pukku e mekku potrebbero corrispondere alle rune is, materia prima e cielo cristallino, e jer, raffigurazione del concepimento e del raccolto. Gli aspetti negativi del segno stanno nelle sue chele, alle quali fanno da contrappunto le leggende di isole fluttuanti, rocce che si fondono, porte in guisa di mascelle, “vagine dentate”.

 

Il solstizio d’estate è un punto cardinale, attraverso il quale le anime decadono nella “manifestazione individuale”. Il segnacolo del Cancro spezza radicalmente in due l’anno solare, costringendo la luce al passaggio dal culmine al declino.

 

L’indomita fierezza e regalità del Leone verrebbe aggiogata al carro della dea Cibele, la Potnia Theròn che imbriglia le forze della natura e schiavizza le potenzialità generatrici con i legacci dell’erotismo. Il Leone può essere sia il Messia proveniente dalla tribù di Giuda, sia il Nemico che si impadronisce dell’uomo  al fine di renderlo strumento di superbia e di arroganza. Per Diodoro Siculo (IV-11,4) la simbologia richiamava la belva uccisa da Eracle nella vallata di Nemea. Il Leone è guardiano della soglia che separa dai Grandi Misteri. Nei templi mithraici era sempre presente il Leontocefalo, proiezione del Tempo e dell’eternità, avvolto dalle spire di in serpente a causa del suo circolare riflettersi all’interno della manifestazione cosmica. Leones erano chiamati coloro i quali pervenivano a metà strada della settuplice scala iniziatica del mitraismo, attribuendosi qualità di fuoco entro il quale dovevano consumare la propria personalità.

 

Dietro la Vergine si staglia la misterica figura di Demetra, la signora dell’alternanza, della coltivazione e del nutrimento spirituale. Preliminarmente il doloroso lavoro imposto da questo segno richiama il tormento della figlia di re Icario, ucciso per aver offerto incautamente del vino a dei bruti. Erigone si impicca ad un albero, al quale rimane appesa per compiacere ancestrali liturgie agrarie. Demetra, invece, discende agli Inferi per ritrovare la figlia Persefone, confrontatasi con la morte allo scopo di poter rinascere a nuova vita. Come Orfeo, l’artista si sacrifica per cercare una forma che consenta di racchiudere la verità nella bellezza, ma se ci riesce la sua opera più non gli appartiene. Il sincretismo si ottiene nella figura di Iside che assorbe le identità di Bellona e di Era, Cibele e Venere, Artemide, Demetra. Eterno femminino, Nike di Samotracia, Primavera di Botticelli, Beatrice dantesca, Polia dell’Ipnerotomachia Poliphili. Da Regina dei cieli cede il passo alla simbologia mariana, eretta sulla falce di  luna crescente. Nella rivelazione artistica dell’Assoluto, Madonna Intelligenza, e secondo il pensiero estetico di Weischedel, fondamento, Urgrund, principio, Ursprung, abisso, Abgrun. Scintilla di luce è la Sophia gnostica, sole del cuore, angelo della persona, testimone del cielo.

 

Il settimo sigillo zodiacale è Bilancia del soprasensibile ed emblema del diritto, del giudizio, della giustizia. Osiride vi faceva pesare le anime dei defunti. Nella Persia preislamica l’angelo Rashmi si comporta in maniera analoga, come per i cristiani l’arcangelo Michele. L’invariabile mezzo cinese si riconnette al Gran Carro, Bilancia di giada, condensatrice di energia Yang, indispensabile contributo per la conquista dell’immortale santità perseguita dall’alchimista taoista.
Regolatore di giada è la stella del timone del Carro del Sovrano o Moggio boreale. Nella mitologia hindù è la sede dei sette Rishi. Nella costellazione della Bilancia si svolgono lavori di sdoppiamento e di separazione.

 

“Io afferro il regolo,/ impugno il ligneo martello e il filo/ insieme con la dea della Saggezza/ fisso con gli occhi il Grande Carro/ e stabilisco gli angoli del Tempio”

(preghiera degli architetti e degli scalpellini egizi riuniti nella corporazione dell’Eterno Regno, per-djet).

 

Lo Scorpione compie la vendetta di Artemide, offesa da Orione. Ma, grazie alla proiezione ed al giusto dosaggio, il veleno può tramutarsi in farmaco. È in questo segnacolo che avviene una alchemica fermentazione, in antitesi al Cancro. Il che suona come un invito a non intraprendere il “viaggio” senza l’ausilio delle armi della discriminazione.

 

Sagittario è il centauro saggio Chirone, trasposizione delle teofanie degli arcieri divini Febo-Apollo ed identificazione con il dardo che coglie il bersaglio. L’immaginazione creatrice si rifiuta di essere racchiusa nell’opera d’arte o di pensiero. La disciplina di Chirone, ammaestratore di Dioniso e di Eros, protegge dal rischio d’essere travolti dal gruppo dei centauri selvaggi dell’istintualità. Tali avversari fascinatori, nel caso di iniziazioni femminili, vanno abbattuti per non subirne l’assoggettamento.

 

La freccia di Febo è un raggio solare, una folgore, il vajra hindù, che brucia o illumina. Una sublimazione senza scorie, compimento definitivo. La saetta di Artemide-Luna torna utile soltanto se proviene dallo sposalizio dei contrari.

 

L’Acquario che versa acque cristalline, perché aeree, può essere un anziano barbuto, Adam Qadmon, umanità prima della caduta, sigillo della manifestazione cosmica, o un giovane Ganimede purificato già prima di pervenire alla reintegrazione.

 

Le figure ittioformi che richiamano i Pesci sono delfini salvatori o sirene tentatrici. Se l’acrostico ictus allude all’eucarestia, tutto il resto appartiene alla sfera della fecondità delle acque oceaniche…In tale bifrontalità, una guida ci condurrebbe all’isola dei Beati, l’altra ci attrarrebbe sino a sommergerci nelle profondità dell’abisso.

 

L’Ariete può essere agnello o capro, vittima e sacrificio. Toson d’oro per gli argonauti, Amon Ra, Cristo pastore, agnus dei, mentre il becco è Pan, disseminatore di vita, eppure capro espiatorio, ma anche abbrutimento satanico.

 

Il Toro è uri, bos primigenius, riconnettendosi alle rune della difesa, eohex, e del sole nascente, sigel, le quali nelle vesti di valchirie, in forma di cigno, conducono al Walhalla il sé eroico. Immagine cherubica apparsa ad Ezechiele, divinità androcefala dei geni caldei, alate manifestazioni del bruciante fuoco dell’intelligenza. Dall’altro versante abbiamo Minotauro e Moloch, inquietanti espressioni di malvagità.

 

Segno doppio per antonomasia, come suggerisce pure il caduceo del dominatore del segno, sono i Gemelli Castore e Polluce, uno mortale l’altro immortale, che si distaccano dai primordiali misteri dei Cabiri, per assumere il ruolo di soccorritori nel mondo che sta al di là delle apparenze. I figli di Leda erano rappresentati da anfore attorcigliate da un colubro ctonio o da due travi unite nel mezzo. I gemelli sono l’iniziato ed il suo testimone in cielo, Giacobbe nella sua notturna lotta con l’angelo, guida o ritratto di luce di cui si dovrà rivestire Spiritus angelicus, Christosangelos per Mani, arcangelo Gabriele per Maometto.

 

Simultaneamente lo zodiaco è ingannatore e d’ostacolo  per chi se ne fa allettare, o “corona regale” per chi lo sa conquistare. Ma bisogna neutralizzare il veleno nascosto (la parte oscura e ferina)  in ciascun segno per usufruire della luce che da esso promana.